L’associazione propone mensilmente (escluso agosto) incontri tematici che potranno svolgersi in presenza oppure in modalità telematica.
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Le evidenze riguardo la capacità di imidacloprid di nuocere alle colonie d’api sono numerosissime, tuttavia si conosce molto poco riguardo le modalità di esposizione e di accumulo di questa molecola nell’alveare. Il lavoro*, tutto italiano, presentato ad Eurbee 2018 da Paolo Fontana della Fondazione Edmund Mach, mira a gettare luce su questo aspetto.
Matrici da alveari posizionati in meleti soggetti all’utilizzo di imidacloprid sono state campionate e analizzate per ricercare il principio attivo o suoi metaboliti. Si è cosi evidenziato come il principale veicolo di entrata sia rappresentato dal polline raccolto dalle bottinatrici, probabilmente poiché il nettare contaminato deve essere ingerito per essere riportato all’alveare, causando quindi tossicità acuta. Inoltre questo lavoro ha dimostrato la presenza di imidacloprid e suoi metaboliti a distanza di 3 mesi in pane d’api, miele, cera e in tracce perfino nella pappa reale. Questi dati suggeriscono come gli effetti di questa molecola debbano essere considerati non solo nell’immediatezza dell’esposizione ma anche sul lungo periodo e tenendo anche conto del possibile effetto cocktail dato da altri agrofarmaci con cui le api vengono a contatto
Gli interventi interessanti in questo Eurbee 2018 non mancano, ma l’intervento più chiacchierato e atteso ha luogo alle 14:30 del 20 settembre, nell’auditorio numero 6. Arrivo con mezz'ora di anticipo, prevedo il pienone nella piccola aula dell’università di Ghent voglio accaparrarmi un posto nelle prime file. Puntualissimo il giovane Samuel Ramsey, studente di dottorato dell’università del Maryland, prende il microfono e proietta la slide principale della sua presentazione che titola perentoria: “Varroa destructor si nutre del corpo grasso, nondell’emolinfa”.
Questa affermazione dovrebbe far comprendere a chi abbia le api da più di 5 minuti il perché di tutto questo interesse. Fin dai corsi per principianti si insegna che V. destructor è un acaro ematofago, che si nutre di emolinfa e che ha una fase riproduttiva e una foretica. Il giovane scienziato con pochi semplici esperimenti rovescia il paradigma.
Per cominciare congela in azoto liquido api con varroe foretiche e va a studiare, mediante microscopia elettronica, lo spazio intersegmentale dove l’acaro era situato. Scopre presto che è evidente un foro di nutrizione e che quindi l’utilizzo del termine “foretica” è scorretto in quanto relegato ai parassiti che si fanno “trasportare” da un ospite senza però nutrirsi a sue spese. Analizzando istologicamente le api parassitate nota inoltre che in corrispondenza del foro di nutrizione il corpo grasso dell’ape, organo biosintetico di grande importanza equivalente all’incirca al fegato dei vertebrati, è estremamente rarefatto. In lui comincia a farsi strada il dubbio che il mantra ripetuto negli ultimi 50 anni a proposito di questo acaro possa rivelarsi errato. Prima di muovere pipette&provette compie una ricerca bibliografica e si rende presto conto che l’ipotesi secondo cui V. destructor si nutra di emolinfa non è mai stata verificata sperimentalmente e che negli ultimi anni non si è fatto che citare alcuni antichi lavori scientifici russi. In questi esperimenti la marcatura dei tessuti era affidata a isotopi non molto specifici incapaci di fornire una evidenza solida per verificare l’ipotesi. Replica quindi gli esperimenti con reagenti più moderni, altamente specifici, uno che si lega ai lipidi del corpo grasso e uno che si lega all’emolinfa. I risultati sono inaspettati: nelle varroe si rinviene principalmente il reagente che legato ai lipidi, a dimostrazione che questa si nutre principalmente del corpo grasso dell’ape. Samuel non si ferma qui e conduce quindi un ultimo test, in cui misura la capacità riproduttiva di varroe nutrite, rispettivamente, con corpo grasso, emolinfa o non alimentate. Ancora una conferma: solo le varroe nutrite con corpo grasso hanno piena capacità riproduttiva mentre in quelle nutrite con emolinfa questa risulta ampiamente ridotta.
L’ odiato acaro non assomiglia quindi tanto ad un vampiro, quanto al leggendario psichiatra cannibale Hannibal Lecter, che amava accompagnare il fegato umano ad un piatto di fave ed un buon Chianti.
I farmaci a base di acido ossalico ottengono la massima efficacia in estate soltanto se accoppiati a manipolazioni che consentano il raggiungimento di una condizione di assenza di covata.
Ma qual è l’impatto di due popolari biotecniche (ingabbiamento della regina e asportazione di covata), utilizzate allo scopo, sullo stato nutrizionale e sulla successiva capacità di invernamento della colonia? La risposta a questo quesito è stata ricercata con il lavoro congiunto di CREA-AA e DIMEVET, tramite la misurazione di biomarcatori presenti nell’emolinfa ovvero proteine totali (TP) , vitellogenina (VG), and apolipoforina (APO). Lo studio completo, che viene qui sintetizzato, è disponibile all’indirizzo: https://rdcu.be/4uXy
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