Le evidenze riguardo la capacità di imidacloprid di nuocere alle colonie d’api sono numerosissime, tuttavia si conosce molto poco riguardo le modalità di esposizione e di accumulo di questa molecola nell’alveare. Il lavoro*, tutto italiano, presentato ad Eurbee 2018 da Paolo Fontana della Fondazione Edmund Mach, mira a gettare luce su questo aspetto.
Matrici da alveari posizionati in meleti soggetti all’utilizzo di imidacloprid sono state campionate e analizzate per ricercare il principio attivo o suoi metaboliti. Si è cosi evidenziato come il principale veicolo di entrata sia rappresentato dal polline raccolto dalle bottinatrici, probabilmente poiché il nettare contaminato deve essere ingerito per essere riportato all’alveare, causando quindi tossicità acuta. Inoltre questo lavoro ha dimostrato la presenza di imidacloprid e suoi metaboliti a distanza di 3 mesi in pane d’api, miele, cera e in tracce perfino nella pappa reale. Questi dati suggeriscono come gli effetti di questa molecola debbano essere considerati non solo nell’immediatezza dell’esposizione ma anche sul lungo periodo e tenendo anche conto del possibile effetto cocktail dato da altri agrofarmaci con cui le api vengono a contatto